STRANO EPISODIO DI CRONACA
Cittadina fasanese condannata per un 'vaffa'
Si tratta di Rosa Schena, dipendente dell'Ufficio del territorio di Brindisi, rea di aver mandato a quel paese un collega che l'ha querelata.

FASANO - Condannata per un “vaffa” di troppo. A tradirla uno scatto di nervi ma anche e soprattutto il buon udito del collega, che offeso nell'onore e nel decoro, aveva deciso, a tutela della propria reputazione, di trascinarla dinanzi ai giudici, chiedendole conto di quel “Digli di andare a fan…”: frase pronunciata sul posto di lavoro da Rosa Schena, 61 anni, di Fasano, dipendente dell'ufficio del territorio di Brindisi. La donna, ritenuta responsabile del reato di ingiuria, per cui era stata denunciata, dovrà a questo punto pagare un'ammenda di 400 euro, secondo quanto ha stabilito il giudice di pace che ha previsto inoltre una provvisionale da mille euro per la parte offesa. Quanto al risarcimento danni, andrà invece stabilito in sede civile. I fatti risalgono al 2005, sebbene, fallito il tentativo di conciliazione, il verdetto sia stato pronunciato soltanto nei giorni scorsi, all'esito dell'acquisizione di tutte le prove testimoniali.
Al centro del singolare contenzioso, un banale litigio maturato attorno alla disposizione di un attaccapanni. Nella circostanza la donna avrebbe rivolto al collega (querelante), Donato Buttiglione, parole dallo stesso ritenute offensive. In verità la signora Schena, piuttosto che inveire direttamente, s'era affidata ad un ambasciatore privilegiato un terzo collega: “Dì a Buttiglione di andare a fare in c…”. Teste chiave della vicenda, dunque, un terzo dipendente dell'Ufficio del territorio, Gualdo Formica, collega d'ufficio sia della signora Schena, con la quale all'epoca condivideva la stanza, che del signor Buttiglione. Formica, suo malgrado tirato in ballo, durante il dibattimento ha ricostruito ogni circostanza, riferendo in aula che l'espressione ingiuriosa fu effettivamente proferita dalla signora Schena all'indirizzo del signor Buttiglione. Non solo. Lo stesso Formica ha confermato che il destinatario della missiva, trovandosi nel corridoio, ascoltò bene quelle parole, tanto da affacciarsi nella stanza, facendo segno con la testa di avere udito ogni parola.
Il giudice di pace, l'avvocato Francesco De Vitis, ha dato ragione all'impiegato che riteneva leso il proprio onore e il decoro e che per questo, assistito dal proprio legale (avvocato Giampiero Iaia), non aveva esitato a formulare querela contro la donna (difesa dall'avvocato Giacomo Cofano). La motivazione della sentenza, dunque: “I rapporti già tesi tra le parti, come dalle stesse riconosciuto, rendono ancor più credibile l'accaduto. Non c'è dubbio che l'espressione usata sia obiettivamente ingiuriosa. L'imputata va pertanto condannata”. L'impiegata dai nervi tesi dovrà inoltre corrispondere al destinatario del “vaffa” una provvisionale di mille euro, mentre l'ammontare del danno da risarcire andrà liquidato in sede civile.
di Redazione
07/12/2012 alle 18:17:05
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